Said Mahran (Lorenzo Baglioni), un giovane sicuro ed ambizioso, nato e cresciuto in Italia da genitori algerini, studia e lavora come panettiere part-time. A seguito del suicidio del direttore della fabbrica in cui lavora Hamid (Mohamed Hanifi), suo padre, la famiglia di Said si trova di fronte alla lacerante realtà di non poter rinnovare il permesso di soggiorno, come fa puntualmente da trent’anni, e riceve un decreto di espulsione. La vita di Said prende improvvisamente una piega scura: l’Italia, il Paese che ha considerato sempre suo, appare ora come un muro di gomma che lo spinge a “tornare a casa”, in Algeria, luogo che lui non ha neanche mai visitato.
Nel tentativo di trovare una soluzione, Said si appella agli avvocati, ai sindacati ed alla stampa, cercando di portare l’attenzione su un problema concreto e sempre più presente nella società italiana. Questo percorso lo porterà attraverso i meandri di una burocrazia legislativa retrograda e alla riconsiderazione della sua identità, riflettendo su un dilemma profondo: rimanere in Italia clandestinamente o partire per l’Algeria con la sua famiglia, aiutandola a ricostruirsi una vita nel Paese che ha lasciato trent’anni fa?
Al suo terzo lungometraggio, il regista Haider Rashid con “Sta per piovere” affronta lo scottante tema del diritto negato della cittadinanza ai nati in Italia da genitori stranieri (lo stesso regista è nato a Firenze da padre iracheno e madre italiana). Inoltre, per la prima volta in un film italiano, in “Sta per piovere” si affronta la questione dell’identità delle seconde generazioni.
Il problema principale del film di Haider Rashid sta però tutto nel mondo in cui il regista decide di raccontare la storia, nel suo approccio furbo e ricattatorio, votato ad un naturalismo tanto fasullo quanto controproducente.
“Sta per piovere” è infatti un film totalmente sbagliato, incarnazione arrogante di un’idea di cinema in cui il tema (e la sua importanza) prescindano dalla forma filmica, relegandola in secondo piano.
Parlare di diritto allo ius soli, dell’importanza delle seconde generazioni, della necessità di integrazione tra diverse culture in una società ancora anacronisticamente reazionaria e razzista come quella italiana contemporanea, è giusto e necessario, ma non certo in maniera così approssimativa e pedestremente propagandistica.
Sospeso a metà strada tra il documentario e il film di denuncia sociale, “Sta per piovere” cavalca in maniera eccessiva la forza delle proprie idee e delle proprie convinzioni gettandole in pasto allo spettatore con rabbia e con un’insistenza deleteria in quanto non sorretta da una messa in scena degna di questo nome, capace di coinvolgere, di rendere vitale e cinematograficamente interessante il dramma vissuto dai personaggi.
Quando poi Rashid si concede delle virate visuali ed estetizzanti (come nelle due sequenze oniriche) non fa che peggiorare la situazione, mostrando scarsissima padronanza del mezzo e delle sue più elementari peculiarità narrative e espressive.
In “Sta per piovere” c’è l’impegno civile, ma manca il cinema: il film di Haider Rashid è arroccato nel proprio autismo autoriale, incapace di parlare a un pubblico eterogeneo e di rendere il giusto merito e la giusta resa filmica a tematiche così importanti e così attuali.
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