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Stranger Things: la recensione della seconda stagione

È trascorso ormai più di un anno dall’esplosione del fenomeno “Stranger Things”, la seconda stagione è uscita su Netflix, ancora una volta diretta dai Duffer Brothers.

La grande impresa dei due fratelli registi era quella di riuscire a regalare una seconda stagione all’altezza delle aspettative del pubblico. In parte, non si può negare, ci sono riusciti. Con un episodio in più, la seconda stagione di “Stranger Things” è arrivata giusto in tempo per allietare gli animi sotto Halloween. Siamo ancora ad Hawkins, nel 1984, è passato un anno dai fatti narrati nella prima stagione. Will (Noah Schnappè tornato a casa ma fa fatica a ristabilirsi, nonostante la famiglia e gli amici siano sempre presenti. Mike (Finn Wolfhard) deve fare i conti con l’assenza di Undici (Millie Bobby Brown) ma a scuola c’è una new entry, “Mad” Max (Sadie Sink), che stravolgerà l’equilibrio dell’intero gruppo. Ma c’è un altro problema da affrontare, perché Will inizia ad avere delle crisi sempre più frequenti, intanto Nancy (Natalia Dyer) vuole vendicare a tutti i costi la morte di Barb. Questa la trama nella versione più sintetica possibile.



In questa seconda stagione di “Stranger Things” i Duffer Brothers hanno mantenuto la stessa struttura della prima, alleggerita dalle citazioni, che rimangono in grande quantità (vedi Star Wars e Ghostbusters) ma, salvo alcune, sono molto meno dirette. In più si concedono una narrazione maggiormente diluita, aggiungendo così delle sottotrame che spesso si rivelano poco efficaci. Come la storia tra Nancy e Jonathan (Charlie Heaton): la potenziale coppia ha numerosi fan ormai da un bel po’ ma non convince. Si finisce per simpatizzare con Steve (Joe Keery), che invece diventa un importante alleato di Dustin (Gaten Matarazzo) e tutta la banda. Dustin questa volta non rimane relegato al ruolo di macchietta ed anzi ha spesso un ruolo più centrale nella storia, senza che manchi qualche rimando al mitico Chunk di “The Goonies”. E a proposito, una delle aggiunte del cast è Sean Astin nei panni di Bob, il premuroso nuovo compagno di Joyce (Winona Ryder). I fan del film che lo ha reso celebre al grande pubblico avranno sicuramente apprezzato il momento in cui Bob è alle prese con una sorta di mappa del tesoro (cit.). Potremmo parlare anche del fratello di Max, comprendiamo la sua rabbia repressa ma la sua violenza e aggressività a volte diventano eccessive e totalmente inutili per il racconto – vedi litigio con Steve.



Nonostante il primo episodio, “Mad Max“, sia del tutto godibile, sembra che per i primi tre la narrazione concreta stenti a decollare. Se all’inizio c’è la curiosità di scoprire come se la stanno cavando i nostri beniamini, il seguito è fin troppo prolisso. Si concentra molto sulla situazione di Undici, che ora vive con Jim Hopper (David Harbour). C’è la figura del Dr. Owens (Paul Reiser), che rimane ambigua dall’inizio alla fine, nonostante tutto il resto sia un po’ prevedibile. Il capitolo che più di tutti desta perplessità rimane senza alcun dubbio il 7, l’episodio interamente dedicato a Undici. Nonostante Millie Bobby Brown sia sempre splendida, sembra che il personaggio di Kali sia stato introdotto quasi forzatamente, l’esperienza di Undici in questo frangente non aggiunge nè toglie nulla al resto della storia. Rimane quindi un racconto superficiale e di basso impatto, ma che potrebbe rivelarsi utile nel caso in cui Kali o eventuali altre bambine scomparse dovessero ripresentarsi nelle prossime stagioni.

Mentre tutti nel gruppo hanno un ruolo più marcato, quello che rimane più defilato è proprio Mike, protagonista indiscusso della prima stagione impersonato dal bravissimo Wolfhard. Il motivo principale potrebbe essere l’impegno sul set di “It“, ma i suoi compagni di avventura non fanno sentire troppo la sua mancanza, la storia è abbastanza dinamica e non scarseggiano di certo i momenti di tensione. Non c’è troppo tempo, quindi, per pensare allo spazio concesso a Mike, recuperato tutto in una volta nell’emozionante momento in cui rivede la sua Undici. Noah Schnapp ha recuperato egregiamente l’assenza del primo giro, in questa seconda stagione di “Stranger Things” gli è stato offerto maggiore spazio. Una sofferenza continua, quella del povero Will, che il giovane attore ha saputo interpretare benissimo. Uno dei motivi principali del funzionamento di questa serie è senza alcun dubbio il cast, fatto di attori “navigati” e già apprezzati ma soprattutto da talenti in erba. Nel complesso, “Stranger Things” rimane sempre e comunque una serie che merita d’essere vista, soprattutto per chi ama gli anni Ottanta. Quel che si deve avere in mente guardando la seconda stagione è ciò che si chiama binge watching, per noi insaziabili delle serie tv. Quelli delle abbuffate del weekend, che da quando c’è Netflix hanno sempre il “frigo” pieno. E questo è il problema del frigo pieno di comfort food, si smette di essere selettivi. La fame rende meno esigenti dal punto di vista qualitativo, l’importante è che ci sia qualcosa di cui abbuffarsi.


IL NOSTRO PARERE IN BREVE

Seconda stagione a citazionismo ridotto - Un lavoro svolto con qualche sbavatura, del quale non si può urlare al fenomeno, come è avvenuto la prima volta.

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