C’è un punto di partenza fondamentale quando si parla di David Lynch: le domande sorgono spontanee ma è meglio non porsene troppe.
Se state tutto il tempo a chiedervi il senso di quello che sta accadendo, allora “Twin Peaks” non è la serie che fa per voi. Lasciatevi trasportare e sì, ponetevele pure delle domande, ma restate senza troppe pretese. Chi conosce l’universo di David Lynch conosce il “codice comportamentale” per guardare le sue opere, che oscillano sempre tra il grottesco e l’opera d’arte. “Che diavolo ho appena visto?” è una domanda che ricorre spesso anche per alcuni personaggi della serie, eppure le risposte non le avranno nemmeno loro, nella maggior parte dei casi. La terza stagione di “Twin Peaks” si è conclusa dopo 18 episodi, ne parleremo nella maniera più sintetica possibile ma, vi avvisiamo, ci sono SPOILER.
Twin Peaks, terza stagione
Sono passati 25 anni dai fatti narrati nella seconda stagione, l’agente Cooper (Kyle MacLachlan) è intrappolato nella Loggia, mentre il suo doppelgänger, la sua versione cattiva, è ancora in giro a combinarne di ogni e non ha alcuna intenzione di tornare indietro. Il Cooper che tutti conosciamo, quello buono, attraverso l’elettricità riesce a fare ritorno ma per errore prende il corpo di Dougie Jones, destinato inizialmente al suo alter ego. Si ritrova così con una casa e una famiglia con moglie e figlio, un lavoro e dei gangster (e non solo) alle calcagna. Cooper ha la stessa missione di 25 anni fa: deve salvare Laura Palmer. Intorno alla sua storia ne sorgono molte altre, si aggiungono tantissimi personaggi – visibili e invisibili – a quelli delle due stagioni di partenza e non tutte le storie sono conclusive. David Lynch, poi, non manca di omaggiare le sue creazioni e gli attori che le hanno portate in vita, a partire da Truman passando per la Signora Ceppo. Malata terminale, sia nella serie che nella vita reale, è venuta a mancare due anni fa e il suo addio è uno dei momenti più commoventi in assoluto. C’è anche Audrey (Sheryl Fenn) ma non è ben chiaro dove stia vivendo davvero e come percepisca il mondo reale, a dire il vero questo concetto non è chiaro per nessuno, men che meno per Cooper. Fino all’episodio 16 lo vediamo nei panni di Dougie, adorabilmente stordito, incapace di interagire se non guidato, ripete solo le ultime parole che sente pronunciare dagli altri, beve litri di caffè e mangia torta alle ciliegie. Eppure, grazie alla sua buona stella, Dougie riesce a cavarsela egregiamente e molte persone devono essere grate della sua esistenza. Negli ultimi quattro episodi, invece, torna l’Agente Cooper, l’amante del caffè che conoscevamo, anche se meno buonista e un po’ più determinato nella sua missione. Sarà un disilluso anche lui, forse, dopo 25 anni. Cooper porta avanti la sua indagine e riesce a raggiungere la cameriera del diner Carrie Paige che apre la porta è altri non è che Laura Palmer (Sheryl Lee). Solo che lei non sa di essere Laura, non ha alcun ricordo legato a Twin Peaks o ai genitori, ma decide comunque di seguire Cooper e tornare nella sua città natale. In mezzo a tutto questo, nell’arco dei 16 episodi, assistiamo alle indagini di Cole e conosciamo Diane, egregiamente interpretata da Laura Dern, senza capire a fondo (ovvio) quale sia il suo vero ruolo. A volte viene da chiedersi se lo abbia capito almeno lei. C’è violenza disseminata dappertutto, ogni tanto riesce a intrufolarsi della poesia – tra effetti speciali al limite del ridicolo, attempati, e immagini profondamente oniriche – i fatti apparentemente scollegati dalla trama principale mostrano un mondo senza speranze, sul palco del Roadhouse si alternano numerosi artisti, alcuni famosissimi come Trent Reznor e Eddie Vedder,mentre accadono cose, le vite degli altri.
Arrivati alla fine di questo lungo viaggio è lecito chiedersi se sia tutto un sogno oppure no, perché l’argomento è ricorrente e potrebbero esserci numerosi indizi – simbolismo come se piovesse – disseminati per l’intera stagione. Ma chi è che sogna chi? E poi c’è il passato che torna, influenza, plasma le cose, ma dopo la mutazione nulla può tornare al punto di partenza. David Lynch ha fatto di questa terza stagione di “Twin Peaks” un capolavoro, raggiungendo il picco in particolare negli episodi 3 e 8: il primo è un’opera di videoarte nuda e cruda, il secondo è l’episodio di una serie tv più metafisico che vi capiterà mai di vedere. Però si arriva alla fine che di risposte Lynch ne ha restituite pochissime, ed anzi vediamo Laura Palmer (o Carrie Paige) urlare guardando la facciata di quella che dovrebbe essere la sua casa – quella dove ha vissuto l’orrore – sentendo la voce della madre, Sarah. Quest’ultima, lo vediamo negli episodi precedenti, è una donna ormai distrutta e posseduta dal male; nella storia che Lynch ha riscritto per il gran finale di Sarah non c’è traccia. C’è una donna che non si è mai vista prima, che non ha mai sentito parlare dei Palmer e che, fun fact, è la donna che vive davvero in quella casa, nel mondo reale. Come se Lynch volesse prendersi gioco dello spettatore e metterlo ancor di più in difficoltà. L’apice della genialità lo raggiunge, però, mettendo insieme gli spezzoni di “Fuoco, cammina con me” e delle stagioni precedenti, in cui vediamo Laura e James nel bosco. Ricordate? Laura guardava alle spalle di James e vedeva qualcosa, urlava. Noi non vedevamo niente e 25 anni dopo scopriamo che dietro i cespugli s’è nascosto Dale Cooper, tornato dal futuro per compiere la sua missione. Prende Laura per mano e se la porta via, anche se per poco, e l’interrogativo più grande (uno dei pochi che siamo obbligati a porci, scartando tutto il resto) è: davvero David Lynch aveva pensato a questo già tanto tempo fa? Il regista ha letteralmente riscritto la storia da capo e in una fredda mattina sulla spiaggia, quando Pete Martell (Jack Nance) va a pescare, il sacco trasparente in cui è avvolta Laura Palmer non c’è. E non c’è nemmeno Laura Palmer, perché forse non c’è mai stata.
Foto: Facebook / Showtime