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The Haunting of Bly Manor, la recensione della serie Netflix

Dopo il successo de “The Haunting of Hill House” il pubblico si aspettava una storia che fosse simile, almeno nel genere, e che invece non lo è. Proposta nel mese di Halloween, in cui le tenenze horror vanno nella maggiore, “The Haunting of Bly Manor” è tutto fuorché horror ed è tutto fuorché una storia di fantasmi, come ammette la sua stessa narratrice, ed è ambientata principalmente negli anni Ottanta – dei quali Netflix sembra non poter fare a meno e dai quali, citando gli Afterhours, non si esce vivi. La storia di Bly Manor è più semplicemente una storia d’amore e si ispira all’opera “Il Giro di Vite” di Henry James.

Le premesse iniziali sembrano essere valide: una bellissima tenuta in Inghilterra, patria del gotico e di case infestate per eccellenza, due bambini che devono superare un brutto trauma che vivono insieme alla governante, il cuoco, la giardiniera e un’insegnante privata. Una manciata di persone che si ritrova nello stesso – isolatissimo – luogo ad affrontare i propri fantasmi, quali di questi sono reali e quali no?



Tanti personaggi in cerca d’amore

Il tentativo di Mike Flanagan fallisce miseramente: “The Haunting of Bly Manor” è una serie che si guarda senza troppi sforzi (ad eccezione di qualche momento di troppo) e che pur essendo scritta piuttosto bene, non lascia molto né durante né dopo la visione. Non lascia inquietudine, non spaventa, non emoziona più di tanto. I due episodi finali sono un tripudio di banalità, oltre che una risoluzione sbrigativa dei misteri sparsi negli episodi precedenti. I primi episodi convincono e sono il motivo per cui questa stagione si lascia guardare fino alla fine. Poi tutto si svolge con estrema lentezza e da una parte è utile alla narrazione, per rendere chiaro il lento scorrere del tempo, delle storie e delle vite che si alternano nella tenuta; dall’altra rischia di rendere gli episodi troppo lunghi e, in alcuni passaggi, molto ripetitivi.

A penalizzare l’intera stagione, vista la complessità della trama e le sfaccettature dei singoli personaggi, sono stati sicuramente i troppi cambi di regia e delle scelte non sempre azzeccatissime. Il peggiore di tutti resta il penultimo episodio che a tratti sembra “Il Segreto” in bianco e nero e dove non manca qualche momento-scivolone degno delle care, vecchie Fiabe Sonore. Oltre al fatto di rappresentare tutto in una maniera fin troppo pulita e perfetta da un punto di vista puramente estetico, il problema principale, forse, è un netto sbilanciamento a favore della parte più sentimentale della trama.

Era obbligatorio che “The Haunting of Bly Manor” fosse horror? Non lo era affatto, ma è così che è stato presentato. Il trailer sembrava promettere una serie di jumpscare di cui non c’è nemmeno l’ombra e che invece sono stati magistralmente gestiti in “Hill House”. Va precisato, tuttavia, che si tratta di due opere completamente diverse e il paragone sorge spontaneo anche se si tratta di una serie antologica. Dentro la storia ci sono tutti gli elementi del cinema horror: la casa isolata, grande e buia, la cantina, la soffitta, un piccolo labirinto di siepi, bambole di ceramica e bambole di pezza (o meglio, talismani), misteri da scoprire, un lago inquietante, un pozzo nero e fondo, tantissimi spifferi.

Una nota di merito va al cast e soprattutto alle due star più giovani: Amelie Bea Smith e Benjamin Evan Ainsworth sono davvero perfetti e riescono a mostrare in maniera incredibilmente naturale i cambiamenti di umore e di personalità dei personaggi che interpretano. In particolare, la piccola Flora (Amelie Bea Smith) offre un’interpretazione che potremmo descrivere, secondo le sue parole, come “perfectly splendid”. Peccato, invece, per l’invecchiamento poco credibile di Carla Gugino, che per la maggior parte del tempo è solamente la voce narrante delle vicende di Bly Manor. Anche lei, come i protagonisti de “Le regole del delitto perfetto”, è invecchiata indossando una poco credibile parrucca grigia. Oltre alla Gugino, tornano altri volti che abbiamo conosciuto in “Hill House” e sono Victoria Pedretti, Oliver Jackson-Cohen, Henry Thomas e Kate Siegel. Si aggiungono Amelia Eve, T’Nia Miller, Rahul Kohli e Tahirah Sharif, perfettamente calati nella parte. Tra tutte le storie, è forse quella di Hannah (T’Nia Miller) ad avere la rappresentazione più credibile e riuscita dal punto di vista emozionale, ma non solo.

Per chi si aspettava un sequel di “Hill House”: il progetto di Mike Flanagan è quello di una serie antologica – come “American Horror Story”, per capirci. Quindi no, chi si aspettava un sequel rimarrà deluso (e si è informato poco e male). Chi si aspetta un secondo capitolo molto simile al primo, rimarrà altrettanto deluso, perché a prevalere, in questo caso, non sono i drammi personali dei singoli personaggi (che sono comunque molto presenti) ma le storie d’amore che li legano e li accomunano: in “The Haunting of Bly Manor” vengono mostrate le due facce di tutti i sentimenti, nel bene e nel male.

IL NOSTRO PARERE IN BREVE

"Un viaggio nei sentimenti" - Tanto sentimento, poco horror, per un risultato finale nettamente sbilanciato.

PANORAMICA RECENSIONE

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