In occasione del minitour italiano, i Maccabees, hanno suonato all‘Orion di Ciampino domenica 4 Novembre, dopo essersi esibiti al Viper di Firenze sabato 3 novembre e prima di salire per un live a Bologna lunedì 5 novembre.
L’appuntamento in precedenza previsto per il 26 aprile è stato posticipato di qualche mese per esigenze della band, il che non ha fatto altro che creare la giusta suspence in attesa dell’esibizione live.
La band di Brighton è già stata nel nostro paese svariate volte, ma questa volta ci presenta l’ultimo album “Given To The Wild” uscito lo scorso gennaio, con il quale hanno ricevuto una nomination per il miglior album dell’anno Mercury Prize.
Pronta per assistere al loro terzo live, riconosco che l’Orion non è la miglior cornice per un concerto indie, ma al di là dei luoghi si sa che gli appassionati di musica badano poco alle apparenze, e io in quanto tale, lasciando da parte l’estetica del locale mi preparo al concerto attendendo in prima fila.
Ad aprire lo show dei Maccabees è una scoperta per me fantastica: sale sul palco munito di chitarra Jack Peñate, talentuosissimo musicista e songwriter inglese dalla grandissima potenza e trasparenza vocale, il quale regala al pubblico scalpitante dell’Orion trenta minuti di un live davvero singolare.
Puntualissimi salgono sul palco alle 22.30 Orlando, Hugo, Felix, Rupert e Robert accompagnati dall’intro strumentale di “Child“, dalle atmosfere calde e rilassanti, quasi ad accoglierci metaforicamente tra le braccia della musica maccabeesiana, si sa, unica nel suo genere. Il brano è perfetto per introdurre la loro performance: tratto dall’ultimo album, è nella tipica caratteristica della band di avvolgerci delicatamente con le strofe, catapultandoci ai ritornelli ritmici e saltellanti della batteria e in questo caso dei fiati come solo i Maccabees sanno fare.
“Wall Of Arms” è il secondo attacco perfetto, talvolta energico e talvolta rallentato ci accompagna come fosse una passeggiata in bici piacevolmente cullata dalla voce di Orlando, peculiarità dell’intera produzione discografica della band di Brighton.
Con grande carica “William Powers” è il secondo brano del live tratto da “Wall Of Arms” , album del 2009 che ha consacrato la formazione inglese e che trasportata sul palco riesce a trasmettere la giusta energia al pubblico, la stessa che smuove i componenti della band, che sembrano essere in perfetta sintonia tra loro, anche musicalmente parlando.
La lentezza di “Go” ci proietta nel vivo del live, dandoci un sospiro di sollievo e la giusta calma, tipica di Given To The Wild; anche i brani che partono in sordina, come “Young Lions” finiscono con il continuo e mai violento headbanging dell’intero pubblico, smorzato dalla seriosa e quasi gelida “No Kind Words“, per il quale pezzo anche la caratteristica vocalità malinconica di Orlando si tramuta in un canto freddo e deciso quasi cupo. Dolce e delicata “Glimmer” introdotta da una batteria ritmata e mai aggressiva, è arricchita dal continuo arpeggio che sotto i miei occhi Hugo tiene continuamente vivo, alternando sorrisi e ammiccamenti alle groupies urlanti, seguita poi da “Went Away“, ennesimo brano tratto dall’ultimo album della band.
Arriva così il momento di un mini madley “catchy” introdotto dal cantante con la frase “This is a love song…” di “First Love” e “Precious Time” (a mio avviso piccoli capolavori) che riaccendono un pubblico entusiasta di sentire live i pezzi che hanno portato la band al successo, confermandoci la bravura tecnica dell’intera band così giovane, ma così matura e sapiente dal punto di vista musicale.
“Can You Give It” non ci fa smettere un attimo di muovere testa, piedi, gambe, braccia e tutto ciò che possa creare movimento proiettandoci quasi in un party virtuale fatto di filastrocche, scene bimbesche e colorate, ricordateci dalla “marcetta” accennata dalla batteria e dalla ripetizione corale del ritornello.
“Heave” e “Feel To Follow” ci riportano alla tranquillità e alla raffinatezza tipica di Given To The Wild, album con il quale la band vuole darci quasi l’idea di una colonna sonora.
Straordinario è il tappeto di suoni creato dai giovani artisti: i due fratelli White alle chitarre, accompagnati talvolta dallo stesso Orlando, terza chitarra, sono in riga, riproducendo le geometrie disegnate nelle loro melodie, le ampie strutture compositive tanto precise, e divergenti in alcuni punti.
Qualsiasi membro della band in ogni pezzo ha una collocazione musicale precisa, e la complessa architettura melodica di tutti i loro brani ci fa capire quanto siano pensate e studiate da mani sapienti tutte le evoluzioni e i micro cammini intrapresi dai singoli musicisti in ogni brano. Gli ultimi momenti di Feel To Follow ci accompagnano all’ “Amazing Pelican“, fatta di “colpi” di chitarra e una batteria quasi impaziente.
Abbandonato per pochi minuti il palco, i Maccabees rientrano per un encore introdotto da “Love You Better“, caratterizzato da riff nervosi di chitarra, anch’esso piccolo capolavoro scalpitante.
La band si lascia ai vari ringraziamenti e conclude il live in maniera soave con “Grew up at Midnight” , pezzo introdotto da un suono quasi solenne accompagnato dalla voce triste ma tanto dolce di Orlando, che ancora una volta ci tengo a definire “fil rouge” di tutta la musica dei “maccabei”; brano finale del concerto è anche il brano finale dell’ultimo album, e vero e proprio gioiello o diamante di “Given To The Wild” come meglio volete definirlo, che a mio avviso conclude la breve performance di un’ora e trenta davvero di qualità di una delle band più sorprendenti degli ultimi tempi. Scevra da qualsiasi coinvolgimento sentimentale (adoro particolarmente i Maccabees), questo reportage è testimonianza di uno dei live a mio avviso più ben fatti per quanto riguarda l’effimero panorama indie rock degli ultimi anni.
La debolezza delle band che si affacciano ad uno dei generi musicali con maggiori esponenti è spesso causata dalla scarsa bravura tecnica dei componenti/musicisti, carenza che i Maccabees sembrano non avere.
Ciò che ha portato la band alla consacrazione è l’atteggiamento giusto, tipico di coloro i quali adorano la musica, l’apprezzano e sono capaci di farla. Non un semplice fenomeno British, i Maccabees stanno facendo posto al loro carattere musicale per affermarlo sempre di più nel panorama discografico. Non sono più i musicisti punkeggianti dal piglio pop, sono dei veri e propri esperti che hanno fatto delle impennate di ritmo il loro marchio di fabbrica.