Al centro della storia di “Tutto parla di te” ci sono due donne di diversa età, Pauline (Charlotte Rampling) ed Emma (Elena Radonicich). Pauline è una donna adulta che nasconde un segreto e che ha dedicato la sua intera vita a studiare e capire il comportamento degli animali, sottraendosi di proposito al contatto con gli altri e ai forti legami intimi. Emma è una giovane ballerina, sfuggente ed evanescente; è da poco diventata mamma ma è in piena crisi. Intorno ruotano altri personaggi, come la dottoressa Gualtieri, la direttrice della casa del quartiere, molto appassionata del suo lavoro e punto di riferimento per Pauline, e Valerio, il regista teatrale con cui Emma ha lavorato, da sempre caldo e accogliente ma incapace stavolta di far fronte al periodo di forte turbamento che sta vivendo l’amica.
Dopo gli apprezzati “Un’ora sola ti vorrei” e “Vogliamo anche le rose”, Alina Marazzi torna al cinema e fa il suo esordio nel lungometraggio di “finzione” con “Tutto parla di te”, un film a tratti sperimentale che ibrida l’impostazione formale del cinema documentarista della regista con una messa in scena sempre ricercata.
Alternando elementi di finzione a inserti animati, combinando vere interviste di madri che hanno vissuto una depressione post parto con momenti di danza dal forte valore simbolico, la Marazzi con “Tutto parla di te” crea un film che si pone il non semplice obiettivo di travalicare la semplice e fredda documentazione dei fatti.
“Tutto parla di te” racconta le zone d’ombre della maternità, le incertezze e le fragilità dell’essere figlie condizionanti quanto quelle dell’essere madri. Temi difficili che la Marazzi affronta con estro creativo, muovendosi comunque tra le righe di un cinema radicalmente ancorato alla realtà. Anche alcuni vezzi formali sono studiati e pensati in relazione al racconto della quotidianità di due persone che si fanno latori di un’inquietudine declinata in due maniere differenti, ma con diversi punti in comune tra loro.
“Tutto parla di te”, quindi, partendo dal racconto individuale si fa messa in scena di un condizione universale, di un senso di inadeguatezza, di solitudine e di frustrazione tanto forte da sfiorare il dramma quando non sfocia addirittura in tragedia (e il film, con coraggio, non tace su certi aspetti, pur non cadendo nella trappola del ricatto sentimentale).
L’ambivalenza del rapporto materno e il disagio femminile di fronte ad una società alienante e poco propensa a comprendere le difficoltà altrui vengono narrati con grazia e sensibilità e con un necessario tasso di partecipazione da parte della regista che permette a “Tutto parla di te” di essere qualcosa di più di una estemporanea testimonianza filmata.
D’altra parte, però, Alina Marazzi non sempre riesce ad amalgamare i maniera convincente i vari registri stilistici e solo quando il film mette da parte la sua natura più sperimentale riesce ad emozionare e convincere sinceramente.
Operazione affascinante ma discontinua, “Tutto parla di te” ha comunque il notevole merito di parlare di un tema scottante e non semplice, senza censure e con un coraggio invidiabile che compensa in parte le sue imperfezioni e incertezze filmiche.
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