Tying Tiffany: Peoples Temple. La recensione

Prima di cominciare con la recensione, faccio una precisazione: non amo molto la musica elettronica e non me ne intendo granché, perciò non sono proprio quello che si potrebbe definire un potenziale fan di una musicista come Tying Tiffany. Però, perché c’è sempre un però, questa compositrice veneta, ex suicide girl, sa il fatto suo, è brava e si lascia apprezzare anche a chi non è un amante del genere. Sarà perché Tiffany ha iniziato molti anni fa come bassista ed ha un ottimo background musicale, che spazia dal punk, all’industrial, passando anche per il nu-wave e si è creata una certa fama nell’ambiente della musica indipendente sia in Italia che all’estero. Arrivata al suo terzo lavoro discografico con “People temples”, ha dismesso i panni più dance ed elettro-punk che hanno caratterizzato i suoi scorsi album, per riscoprire una vena decisamente più dark, fatta di melodie più complesse e studiate. Lo stesso titolo del disco si rifà ad una setta americana para-religiosa, assurta agli onori della cronaca nera durante gli anni Settanta, quando il suo guru convinse gli adepti a bere del cianuro, provocando così la morte di più di 900 persone, tra cui circa 270 bambini. Tiffany ha deciso di partire da questa storia per fare un paragone con la nostra società, in cui gente priva di spirito critico brancola nel buio, alla ricerca di qualcosa in cui credere, divenendo così facile preda per chiunque. Nella tracklist, spiccano il brano “Storycide“, entrato a far parte della colonna sonora di “CSI: Las Vegas”, “Miracle”, una sorta di ballata contemporanea, “One breath“, in cui duetta col musicista svedese Fè e che ricorda a tratti le sonorità dei Depeche Mode, ma anche “Show me what you got“, dove Tif rispolvera per un attimo la sua vena dance. Questo disco è una riconferma per i fan della vecchia guardia ma anche un ottimo punto di partenza per chi l’ha scoperta adesso, sperando che continui a regalarci tante altre perle.