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U2: Bono scrive una “Lettera d’amore all’Italia”

In concomitanza con il G8 e con le due date in Italia dell’U2 360 Tour, il leader degli U2 Bono ha scritto una lettera aperta all’Italia, intitolata “Lettera d’amore all’Italia”, dicendo che il Paese che ci ha insegnato a vivere non può essere l’ultimo del G8 nella solidarietà.

Questo il testo della letterà:

Fin dall’infanzia, ho sempre immaginato che il canto fosse nato in Italia. A Dublino sono cresciuto ascoltando la collezione di dischi di mio padre: La traviata, Tosca, Il barbiere di Siviglia. Il rock and roll era la mia ossessione, ma ero attratto da un rock and roll «operistico». La voce di Roy Orbison. Quella di David Bowie. I suoni della lirica, come del rock and roll, sono una questione di vocali più che di consonanti. Per raggiungere le note alte, i La e i Si, o anche i Do acuti, ci vogliono parole molto aperte, come «amore», come «love». In senso lirico, una delle canzoni degli U2, Pride, In the Name of Love, inizia proprio come l’aria di un’opera.
Ero innamorato dell’Italia ancor prima di conoscerne l’esistenza. L’ho capito al nostro arrivo in questo Paese.

Il nostro modo di fare musica soul veniva capito subito. Non aveva bisogno di spiegazioni, come invece accadeva in Nord Europa. Gli U2 non hanno mai sposato la versione nordeuropea di musica «cool», che era solo un sinonimo di «fredda». Eravamo italiani che non sapevano vestirsi bene. Il nostro era un temperamento latino: furiosi di fronte a un’ingiustizia, amanti della vita, del buon cibo, del bere, dell’amicizia e della famiglia. Anche noi avevamo un rapporto insolito con il concetto di religione. A volte insofferenti del suo conservatorismo, ma spesso sostenuti dai suoi valori fondamentali di fede, speranza e amore. Eravamo stupiti davanti all’ingegno italiano, da Leonardo Da Vinci a Marconi, dai film di Fellini al futurismo, dalla Ferrari e la Fiat ad Armani e Diesel.

Insegno ai miei figli a scattare mentalmente delle istantanee che potranno rivedere in seguito. Ecco le mie fotografie dell’Italia: i concerti… la mia voce sommersa dal «belcanto» della folla… nei primi anni Ottanta essere scortati da un’auto blindata in mezzo a un putiferio dopo un nostro concerto, notare che nessuno si faceva male e accorgersi che era più che altro un’onda danzante; alzarmi presto al mattino per scoprire i fantasmi e le vestigia di Torino e poi vedere allestire le vetrine dei negozi a Milano… a Roma, non cercare di capire perché Keats avesse scelto come epitaffio: «Qui giace colui le cui parole furono scritte sull’acqua». Fare visita anche alla tomba di Shelley e osservare il suo epitaffio: «Cogli l’attimo». Ed è proprio questa l’energia italiana: cogliere l’attimo.

… Stacco e torno al 1999, a Castelgandolfo con Bob Geldof, Quincy Jones e il celebre economista Jeff Sachs. Il Papa si prova i miei occhiali mentre parliamo della cancellazione del debito… Poi il 2001. Tra i densi gas lacrimogeni, nelle strade turbolente del G8 a Genova, a marciare con Jovanotti per la cancellazione del debito e per ottenere maggiori risorse per i Paesi più poveri. Avanti veloce, arriviamo al presente: in Africa 34 milioni di bambini in più vanno a scuola perché la gente del mondo intero è scesa in strada. In Africa 3 milioni di persone vengono curate con farmaci salvavita da quando l’anno scorso, a Genova, è stato creato il Fondo globale per la lotta all’Aids, alla tubercolosi e alla malaria.

Sono tutte buone notizie. Ma le buone notizie fanno sembrare ancora più brutte quelle cattive. Nel complesso, le promesse fatte dal G8 ai più poveri dei poveri non sono state mantenute. Che cosa significa rompere una promessa fatta ai più vulnerabili? A livello filosofico, questo mette in discussione i presupposti morali giudaico-cristiani. Che dire dell’Illuminismo? Del sistema di valori dell’Occidente? In termini pratici, ciò rischia di intaccare la nostra reputazione costruita sull’appoggio che abbiamo mostrato in passato. Mentre a livello politico, ciò può minare la credibilità di riunioni come il G8. La padrona di casa, l’Italia, è rimasta più indietro di altri Paesi del G8, promettendo di incrementare l’aiuto all’Africa, mentre la brutale realtà è che quell’aiuto è stato tagliato. E così ci ritroviamo qui, innamorati dell’Italia più che mai, ma ancora una volta con l’esigenza di fare qualcosa per cambiare questo stato di cose.

Quest’insofferenza al tema della povertà estrema nasce principalmente in madri, insegnanti, studenti, nei frequentatori delle chiese. Quando proviene da una rockstar spudoratamente ricca riceve più attenzione, ma è molto più difficile da accettare, in particolare quando quella rockstar è irlandese. Sappiamo che è un’assurdità. Ma altrettanto assurdo è che nel XXI secolo un bambino muoia per la puntura di un moscerino.

Ricordo il Professore, il Primo ministro Prodi che, durante una riunione del G8, dovette stare alzato tutta la notte ad ascoltare i rimproveri miei e di Bob Geldof per lo stato degli aiuti italiani. Non dimenticherò mai il suo garbo e la sua determinazione. E ora, in questi duri tempi di recessione, Berlusconi dovrà ascoltare le stesse esortazioni, mentre si avvicina il suo G8. Ora, più che mai, abbiamo bisogno di leader capaci di proiettarsi nel futuro con una diversa visione del mondo, leader che poi tornino all’oggi per realizzare quei cambiamenti necessari a concretizzarla. Quanto di tutto ciò riusciremo a vedere nel corso di questa settimana, in questo Paese così vibrante, la cui generosità di spirito contagia tutti coloro che vengono a visitarlo?
Se possiamo mettere fine alla miseria e alle privazioni con interventi relativamente economici e facilmente attuabili, quali ad esempio le zanzariere, i farmaci contro l’Aids, o una manciata di semi e fertilizzanti, allora non abbiamo scelta. Dato che possiamo, allora dobbiamo. «Ama il prossimo tuo» non è un consiglio, è un imperativo. Sembra che ci sia una contraddizione. Il cuore più grande dell’Europa, l’Italia, in questi tempi volta la testa dall’altra parte… come colpita da amnesia.

Ma per ora il mio pensiero è altrove. Mentre mi preparo al privilegio di esibirmi allo stadio di San Siro questa settimana, di nuovo la lirica invade la mia mente. Ricordi di Pavarotti… il microfono ai piedi del suo letto a Modena. Lui che prende tempo e si decide a cantare Miss Sarajevo insieme a me solo dopo aver mangiato, dormito e, dall’espressione sul suo viso, baciato appassionatamente Nicoletta! La sua voce tonante, che sputa fuoco come un vulcano in eruzione. Un vulcano che ha aperto uno squarcio nel cielo e nel mio cuore, e nel cuore di chiunque l’abbia mai sentito cantare. Grande talento interpretativo… e anche seduttore, artista, amante, marito, padre, amico, bambino e uomo.
Sempre un paradosso. Come il suo Paese.

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