“Commetto peccato se cambio un signore di 70 80 anni? Si é sporcato, e ci sono solo io in casa con lui”. A parlare, al telefono con qualcuno che può autorizzarla, é Razieh, giovane donna iraniana incinta di quattro mesi (ma l’abbigliamento nasconde la gravidanza) che si é trovata ad accudire un anziano malato di Alzheimer. La situazione é problematica: la donna, osservante dell’Islam, non ha nessun rapporto di parentela con il malato; lavora, senza che suo marito lo sappia, come donne delle pulizie a casa di un uomo, Nader, che é stato appena lasciato dalla moglie, Simin.
Simin invece é una donna emancipata: guida la macchina, e soprattutto vuole divorziare dal marito. Conosciamo i coniugi subito nella prima sequenza del film. Sono seduti uno accanto all’altro, di fronte a un giudice, che non viene mai mostrato (non c’è controcampo). La donna vuole espatriare per assicurare un futuro alla figlia adolescente, Termeh. Il marito invece non vuole abbandonare il padre malato. Simin, agghiacciante il suo cinismo nei confronti del suocero esibito nel colloquio con il giudice, decide pertanto di lasciare marito e figlia (e suocero), e stabilirsi dalla madre.
Una decisione dalle conseguenze inimmaginabili, che avrà il suo risvolto più drammatico nella perdita del bambino che Razieh porta in grembo, causata, a suo dire, da una spinta di Nader . La versione dell’uomo però é diversa. Seguirà quindi una serie di accuse reciproche, in un tutto contro tutti (fa la sua comparsa anche il marito di Razieh), dove ognuno ha le proprie ragioni e le proprie colpe, nessuno dirà la verità, o la dirà solo in parte; dove peseranno bugie tanto ingenue quanto inutili dette in precedenza (chi e come aveva sporcato le scale condominiali?); e per una possibile soluzione senza l’intervento del giudice, bisognerà fare i conti, di nuovo, con il senso di peccato di Razieh.
E’ un Iran fra modernità e tradizione, quello che Ashgar Farhadi rappresenta con “Una separazione”, Orso d’oro all’ultimo festival di Berlino. Il regista non prende posizioni, la sua attenzione è focalizzata sulle donne. Non ci sono solo Razieh, e Simin; anche le loro figlie, e la maestra di Termeh. E proprio alla ragazzina spetterà l’ultima decisione.
Sono molti i punti di contatto con il precedente e altrettanto ottimo “About Elly” (un divorzio, la scomparsa di una persona – fra l’altro affidata ancora una volta a una donna, il ricorso alla menzogna, la religione, e soprattutto la condizione delle donne nell’Islam), in quest’ultima pellicola però, la messa in scena è più rigorosa: solo (o quasi) scene in interni, musica praticamente assente, se non quella di autoradio e TV, macchina da presa vicina ai personaggi, e molti dialoghi. Da vedere.
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