“Viola di mare” è arrivato ormai da diversi mesi nelle sale italiane, ma questa recensione è per la serie “meglio tardi che mai”. Il film di Donatella Maiorca (Viol@, La squadra) aveva sollevato discussioni ancor prima di uscire, per la tematica affrontata. Si tratta infatti di una storia d’amore omosessuale, tematica attuale più che mai, ma ambientata in tempi un pò più lontani dai nostri. Siamo nella Sicilia dell’Ottocento, società patriarcale e bigotta in cui l’omosessualità è un peccato impensabile. La trama ruota attorno al rapporto tra Angela e Sara, amiche inseparabili da bambine, assurdamente marito e moglie, dopo. Si nota sin dalle prime scene del film che Angela sia particolarmente attratta da Sara, la pellicola scorre mostrando la crudeltà di un padre padrone che tratta moglie e figlia come schiave, chiudendole in una botola all’occorrenza, deluso dalla nascita di Angela, figlia femmina, disonore di casa. Salvatore infatti avrebbe voluto un figlio maschio, Angela è come se non esistesse e quando esiste, per lei c’è solo violenza. Una volta cresciuta, Angela non può più fare a meno di nascondere il suo amore a Sara, che dopo qualche titubanza cede alla passione. Per sopravvivere allo scandalo, però, Angela viene trasformata in Angelo, e decide di sposare la sua amata per poter vivere finalmente l’amore liberamente.
“Viola di mare” è tratto dal romanzo di Giacomo Pilati, “Minchia di Re“. Il titolo del film deriva dal nome di un particolare pesce che si accoppia da femmina e diviene maschio dopo aver deposto le uova, un po’ come Angela, che trascorre la vita da femmina ma occulta la propria sessualità in nome del suo amore. Una storia che non regge bene o che Donatella Maiorca non ha montato nel migliore dei modi e che un po’ ha il sapore di materiale buono per una fiction. I dialoghi non sono del tutto eccezionali, molte scene sono sprecate, lente o ripetitive; il lavoro ha fatto nascere attorno a sè molte aspettative, sicuramente più di quante ne avrebbe meritate in realtà. Si può parlare, per quanto riguarda Valeria Solarino, di una delle sue interpretazioni migliori, anche se non soddisfa appieno. Nemmeno Isabella Ragonese riesce perfettamente nella parte, forse scritta anche male, che raffigura una ragazza insicura e spaventata, ma forse forzata ed eccessiva . Sprecato il talento di Ennio Fantastichini, padre crudele e violento, tipico despota della classica famiglia siciliana, che rientra in un ruolo un pò standardizzato. Maria Grazia Cucinotta, in questo caso produttrice del film, ha un ruolo decisamente inutile e marginale, così come non riesce bene nemmeno quello di Giselda Volodi nei panni di una madre sottomessa e sofferente, colpevole di aver messo al mondo una donna. Un cast interessante, non c’è che dire, ma sfruttato troppo poco.
La storia è sicuramente coraggiosa, ma a tratti noiosa e ripetitiva. Silenzi e paesaggi desertici, vento e mare, la presenza della religiosità, il peccato di nascere donna ed amare una donna, un prete che perdona i peccati altrui ma ne commette di peggiori, l’amore saffico che si è aggiudicato il Capri Peace Award 2009, premio contro l’omofobia. A metà del film la trama sembra essersi bloccata in contemporanea con la relazione appena sbocciata tra le due ragazze. A quel punto Lucia, mamma di Angela, decide di andare dal prete e far cambiare il nome della figlia. Angela si trasforma in Angelo, si taglia i capelli e assume le sembianze, poco credibili, di un uomo. Papà Salvatore, che fino a poco prima era violento e voleva obbligare la figlia a sposare Ventura (Corrado Fortuna) facendola “zita” a sua insaputa, adesso si rassegna di fronte alla sua identità, la porta nella cava con sè e la presenta come suo figlio. La gente del paese, incredula, tace. Angelo adesso può finalmente sposare la sua amata Sara e nonostante i problemi che la cosa comporta, ovvero il disprezzo e le chiacchiere della gente, coraggiosamente raggiunge il suo obiettivo. L’unico passo da compiere è quello di mettere al mondo una creatura, ma questo tra due donne, si sa, è impossibile. Ad intervenire in questo caso è Tommaso (Marco Foschi), prima promesso sposo di Sara. Il film, come un drammatico che si rispetti, si conclude con la morte di uno dei personaggi, che potrebbe rendere il finale significativo, ma in realtà non gli offre un grande rilievo. Tuttavia la storia propone un argomento importante, uno spunto di discussione e riflessione sull’omosessualità, un problema attuale che però nasce in tempi lontani e che adesso si può affrontare in maniera più aperta e libera. Anche se i pregiudizi non sono stati completamente sradicati, la storia di Angela e Sara è ben più drammatica di molte storie dei nostri giorni. A dire il vero, dalle presentazioni del film, si sarebbe pensato ad un ritmo ancor più struggente di immagini e dialoghi e questo sicuramente manca. Alla colonna sonora ha contribuito la rocker Gianna Nannini, che ha composto le musiche e il brano “Sogno” che sentiamo durante i titoli di coda. Anche qui, la colonna sonora non è assolutamente azzeccata, potremmo definirla anacronistica. La chitarra elettrica sicuramente non si addice ai panorami, ai tempi e alle atmosfere del film, se l’intento era quello di rendere la cosa innovativa, non è ben riuscito.
In conclusione, gli errori sono davvero molti, si sarebbe potuto fare di meglio con una storia che offre ottimo materiale per un film serio che possa distaccarsi da tanta spazzatura che ci viene propinata al giorno d’oggi. Purtroppo Donatella Maiorca non ha saputo rendere al meglio la vita travagliata di questo amore saffico, ma di certo non si è risparmiata con le scene di sesso e baci intensi tra le due protagoniste, aggiungendoci la velata omosessualità della Baronessa, interpretata da Lucrezia Lante della Rovere. Aspettando che la Maiorca ci proponga una pellicola gestita in maniera più efficiente, soprattutto avvalendosi di un buon cast e di una potenziale nuova collaborazione con la Nannini, diamo a questo film la sufficienza per l’impegno e il contenuto, ma di certo non si può parlare di una pellicola imperdibile o capace di tenere incollati alla poltrona, un vero peccato.